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AGENDA 2030 DI FRONTE A NOI C’È UN EQUILIBRIO POSSIBILE Abbiamo 11 anni per realizzarlo |
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Cambiamenti climatici e territorio. Pubblicato lo Special Report IPCCForeste, bioenergia, sicurezza alimentare, desertificazione, agricoltura: Il territorio è un risorsa fondamentale, afferma il Report dell’IPCC. È sotto pressione da parte delle attività umane e dei cambiamenti climatici, ma è anche parte della soluzioneSintesi del Rapporto Punti essenziali Iscriversi al WEBINAR con gli esperti del 10/09/2019 Download per capitoli (inglese) |
Il territorio è ormai sottoposto, da parte delle attività umane, a una crescente pressione cui si aggiunge quella portata dai cambiamenti climatici. Allo stesso tempo, ha affermato l’ Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) nel suo ultimo Rapporto, l’obiettivo di contenere la temperatura ben al di sotto dei 2°C può essere raggiunto solamente riducendo le emissioni di gas a effetto serra prodotte da tutti i settori, compresi quelli che riguardano il territorio e il cibo. • Circa il 23% delle emissioni di gas serra di origine umana proviene da agricoltura, silvicoltura e altri usi del suolo (AFOLU). Le emissioni sono prevalentemente dovute alla deforestazione, parzialmente compensate da imboschimenti e rimboschimenti e da altri usi del suolo. L’agricoltura è responsabile di circa la metà delle emissioni di metano indotte dall’uomo ed è la principale fonte di protossido di azoto, due gas ad effetto serra molto potenti. • Allo stesso tempo, la biosfera terrestre assorbe quasi il 30% delle emissioni antropogeniche di CO2 grazie ai processi naturali. Tuttavia, questa funzione è vulnerabile agli impatti dei cambiamenti climatici (ad es. a causa dell’aumento della siccità e degli incendi) e ad altre pressioni ambientali e umane. • Infine i cambiamenti di uso del suolo modificano le proprietà biofisiche della superficie terrestre (bilancio energia e acqua), che portano ad ulteriori variazioni di temperatura e precipitazioni a scala locale. |
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I dati sul consumo del suolo in Italia |
In passato la dinamica demografica era positivamente (e stabilmente) correlata con l’urbanizzazione ed era utilizzata, perciò, per descrivere gli stadi di sviluppo dei sistemi urbani. Negli ultimi decenni, al contrario, il legame tra demografia e processi di urbanizzazione non è più univoco e le città sono cresciute anche in presenza di stabilizzazione, in alcuni casi di decrescita, della popolazione residente. Il consumo di suolo con le sue conseguenze, in attesa di interventi normativi efficaci,non si ferma. Il rallentamento progressivo dovuto alla crisi economica è sicuramente non sufficiente e, almeno in alcune zone del Paese, sembra essersi fermato o aver invertito la tendenza,confermando la mancanza del disaccoppiamento tra la crescita economica e la trasformazione del suolo naturale in assenza di interventi strutturali e di un quadro di indirizzo omogeneo a livello nazionale. L’iniziativa delle Regioni e delle Amministrazioni Locali sembra essere riuscita solo marginalmente, per ora, e solo in alcune parti del territorio, ad arginare l’aumento delle aree artificiali, rendendoevidente che gli strumenti attuali non hanno mostrato ancora l’auspicata efficacianel governo del consumo di suolo.Ciò rappresenta un grave vulnus in vista della ripresa economica, che non dovrà assolutamente accompagnarsi a una ripresa della artificializzazione del suoloche i fragili territori italiani non possono più permettersi. |
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Uno studio della Fondazione Eni Enrico Mattei: le province italiane analizzate con gli indicatori della Agenda 2030 In Italia circa il 75% della popolazione vive in aree urbane. Secondo le stime delle Nazioni Unite, la percentuale della popolazione mondiale che vivrà in centri urbani tra 20 anni si attesterà sull’80% della popolazione complessiva; dunque, il numero di abitanti del nostro Paese che vive in agglomerati urbani è destinato ad aumentare ulteriormente. |
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PRESENTAZIONE      Vai alla pagina in italiano dell'ONU       Vedi il Video |
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FERMARE LA CATASTROFE PRIMA DI NON POTER PIU' TORNARE INDIETRO | ||||||||
Aumenta il riscaldamento
La temperatura media, lo scorso luglio, è stata di 16,7 gradi, 1,7 gradi in più rispetto alla temperatura media di questo mese nel ventesimo secolo. È stato l'anno più caldo fino ad oggi in diverse regioni del Nord e Sud America, Asia, Australia, Nuova Zelanda, Africa meridionale, ma anche Oceano Atlantico, parte occidentale di quello Indiano e Pacifico. Il ghiaccio marino medio nell'Artico ha registrato nei giorni scorsi il record più basso, scendendo del 19,8% sotto la media, oltre il minimo storico di luglio 2012. Pochissime le eccezioni: solo parti della Scandinavia e della Russia occidentale e orientale avevano temperature di almeno 2,7 gradi sotto la media. Brucia il più grande polmone del pianeta L'Amazzonia è grande quanto l'Unione Europea e da gennaio a luglio 2019 ne sono bruciati 18600 km quadrati, cioè lo 0.3%. Al'inizio di agosto questa superficie era il doppio rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Tra il 50 e il 70% dell'ossigeno sulla Terra è prodotto dalla fotosintesi delle alghe negli oceani. Il resto dalle praterie, dai campi coltivati (sì, anche loro) e dalle foreste che crescono velocemente, accumulando carbonio e rilasciando ossigeno. L'Amazzonia è così grande che produce tramite l'evaporazione dagli alberi la "proprie" nuvole e la "propria" pioggia. Se incendi e deforestazione arriveranno a riguardare il 25%-40% della foresta (per ora siamo intorno al 15%), l'ecosistema non sarà più in grado di regolare il proprio clima e potrebbe tornare ad essere una savana come era già 55 milioni di anni fa. Ciò porterebbe al rilascio di enormi quantità di CO2 nell'atmosfera e mettendo a rischio milioni di specie animali e vegetali, tra cui il 25% delle piante medicinali che l'umanità utilizza per la fabbricazione di farmaci di ogni tipo. L’ambiente amazzonico ha per noi un’importanza inedita per due motivi: per l’impatto delle sue risorse sull’ecosistema globale e perché la gestione di questo territorio può divenire paradigmatica per il resto del mondo. E se l’Amazzonia è un’enorme sistema in grado di assorbire l’anidride carbonica dall’atmosfera, le ragioni principali della sua importanza sono la funzione di generatore d’acqua dolce, che raggiunge il 20% della produzione planetaria, e la ricchezza di biodiversità, che la rende un luogo strategico per la vita sulla Terra. La foresta e l’acqua vanno sempre insieme. Gli incendi sono legati alla deforestazione causata, in gran parte dalle multinazionali anche europee, soprattutto dalla conversione in terreni per la coltura della soia e per pascolo estensivo e dallo sfruttamento minerario. Il Governo ha incoraggiato nelle parole e con i fatti l'eliminazione della foresta a scopi produttivi, tolto fondi al monitoraggio e alla protezione ambientale e allentato i controlli sulle illegalità. Il governo brasiliano (a differenza del Cile e degli altri paesi a cui appartiene l'Amazzonia), ha rifiutato formalmente lo stanziamento di 20 milioni di dollari offerti dai paesi del G7 durante il vertice di Biarritz e gli aiuti di mezzi per lo spegnimento dei fuochi. I rifiuiti negli oceani e la distruzione della vita marina I rifiuti marini provengono all’80% dalle produzioni antropiche, di cui circa il 40% è plastica (secondo il National Geographic si tratterebbe di oltre 5mila miliardi di tonnellate), i cui effetti dannosi sono percepiti a differenti livelli: l’avvelenamento della fauna marina e degli uccelli marini per ingestione di plastiche. Le nanoplastiche, infatti, possono perfino penetrare negli organi dei pesci che poi portiamo sulle nostre tavole. |
Il lungo genocidio degli indigeni americani non è ancora finito
Brasile: si moltiplicano gli omicidi di capi indigeni. Su uno degli episodi pìu recenti (il 29 luglio) è intervenuta anche l'Alto commissario ONU per i diritti umani, Michelle Bachelet. L'uccisione non solo "risulta tragica e condannabile di per sé", ma rappresenta anche "un sintomo inquietante del crescente problema dell'invasione delle terre indigene, specialmente nelle foreste, da parte di imprese minerarie, del legno e di agricoltura intensiva. L'inarrestabile scioglimento dei ghiacci In Groenlandia, il 31 luglio 2019, si ssono sciolte, in un solo giorno, undici miliardi di tonnellate di ghiaccio. Sono 15 milioni i chilometri quadrati coperti dai ghiacci sulla Terra, circa il 10% delle terre emerse, e se questa massa di ghiaccio si sciogliesse integralmente il livello dei mari si alzerebbe di circa 70 metri. Se si sciogliesse la calotta glaciale che ricopre il Polo Sud, il livello delle acque si alzerebbe infatti di 58,3 metri, mentre se si sciogliesse solo quella groenlandese i mari salirebbero di 7,4 metri. Secondo quanto riporta l'Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite) i fattori dell'innalzamento dei mari sono: • il riscaldamento delle acque (dovuto all'aumento del volume indotto dal calore) • lo scioglimento dei ghiacciai di montagna (0,76 millimetri all'anno) • lo scioglimento della calotta glaciale groenlandese (0,33 millimetri all'anno) • lo scioglimento della calotta antartica (0,27 millimetri all'anno) Ogni anno bruciano aree immense delle terre in cui abitiamo Dalla Siberia al Canada, il forte incremento di roghi registrato questa estate nelle regioni polari, un numero senza precedenti negli ultimi 10 mila anni, ha gravissime conseguenze per il clima e la biodiversità. L’Organizzazione Meteorologica Mondiale delle Nazioni Unite (Omm) conferma che il fumo dei roghi in Siberia (che hanno distrutto con le fiamme un’estensione pari alla Grecia) è arrivato a ricoprire una superficie di circa 5 milioni di chilometri quadrati. Un’area più vasta dell’Europa e di più della metà degli Stati Uniti.Gli incendi sono provocati anche dallo sfruttamento illegale del legno. Dall’ inizio anno a oggi, secondo il Global Forest Watch Fires, le osservazioni registrate dal Moderate-resolution Imaging Spectroradiometer (MODIS), anche dal sito della Nasa, rilevano oltre 2 milioni e 910 mila “allerta incendio”. Lo scioglimento dei ghiacciai delle Alpi. Si passa infatti dai 4500 km2 verso la metà dell’Ottocento ai 2900 km2degli Anni Settanta del Novecento, ai 2100 km2del 2003 agli attuali 1792 km2. In pratica dalla metà dell’Ottocento si è perso il 60% della superficie dei ghiacciai. Anche l’estate 2018 ha infatti evidenziato arretramenti delle fronti glaciali di decine di metri e riduzioni di spessore superiori al metro. Stiamo assistendo ad un fenomeno imponente e in accelerazione che può portare in pochi decenni alla quasi totale estinzione dei ghiacciai alpini. Anche per l'Italia alto il rischio di crisi idrica Un quarto della popolazione mondiale, sparsa in 17 paesi, vive in regioni a rischio "estremamente alto" di crisi idrica. Fra i paesi, il più in pericolo è il Qatar, seguito da Israele e Libano. All'11/o posto c'è la Repubblica di San Marino. L'Italia è classificata a rischio "alto" ed è al 44/o posto su 164 paesi. |
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L'ADATTAMENTO E LE AZIONI DI RIPRISTINO NON SARANNO SUFFICIENTI PER TORNARE INDIETRO |
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ONU: Dieci anni di azioni di ripristino
Il degrado degli ecosistemi terrestri e marini mina le condizioni di vita di 3,2 miliardi di persone e costa circa il 10% del prodotto lordo globale annuo in termini di perdita di servizi per specie ed ecosistemi. Il decennio dell'ONU per il Ripristino dell'Ecosistema, dichiarato oggi dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, mira a potenziare in modo rilevante il ripristino degli ecosistemi degradati o distrutti come misura per combattere le crisi climatiche e migliorare la sicurezza alimentare, l'approvvigionamento idrico e la biodiversità. Attualmente, circa il 20% della superficie vegetata del pianeta mostra un calo della produttività con perdite di fertilità legate all'erosione, all'impoverimento delle risorse e all'inquinamento in tutte le parti del mondo. Entro il 2050 il degrado e il cambiamento climatico potrebbero ridurre i raccolti del 10% a livello globale e in alcune regioni fino al 50%. Il Decennio, un invito all'azione globale, metterà insieme il sostegno politico, la ricerca scientifica e le risorse finanziarie per potenziare l’azione portandola da iniziative pilota di successo ad interventi in aree di milioni di ettari. La ricerca mostra che potrebbero essere recuperati oltre due miliardi di ettari di terre disboscate e degradate. |
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SISTEMA AMBIENTE È IL SISTEMA INFORMATIVO E DI GESTIONE PER ATTRAVERSARE IL CAMBIAMENTO DEL MODO DI PRODUZIONE |
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http://www.sistemaambiente.net/SA/IT/Economia_Circolare_e_Bilancio_Ambientale_di_impresa.pdf
Per
passare da una gestione dello spreco (con i suoi elevati costi sia aziendali
che di sistema) a una economia circolare, è necessario uno strumento
funzionale che nel modello di “Sistema Smbiente” è il Bilancio
ambientale alimentato dalla contabilità ambientale (i valori quantitativi
relativi all’andamento e alla destinazione delle risorse lungo tutto il ciclo
dei materiali e le incidenze che essi hanno sul sistema in cui il sito è
inserito) e dalla contabilità industriale. La elaborazione a livello di
impresa consente di avviare con metodo concertato anche i bilanci di area e
di settore.
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